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Il silenzio che uccide – Teresa Manes

Ci sono giorni che restano incisi sulla pelle, come ferite che non si rimarginano mai. Il 20 novembre 2012 è stato uno di quei giorni.

Mio figlio Andrea aveva solo 15 anni quando ha scelto di lasciare questo mondo. Nessun genitore dovrebbe mai scrivere una frase del genere. Ma io oggi la scrivo, e la racconto, perché credo che il dolore – anche quello più spaventoso – possa diventare uno strumento per cambiare qualcosa.

All’inizio non capivo. Nessuno di noi capiva. Andrea era un ragazzo pieno di vita, affettuoso, con i suoi sogni, le sue fragilità. Aveva indossato un paio di pantaloni rosa, scoloriti per errore in lavatrice, per andare a scuola. Un gesto qualsiasi. Ma quel dettaglio è bastato a trasformarlo nel bersaglio.

Una pagina Facebook, creata apposta per prenderlo in giro. Risatine. Commenti crudeli. Sguardi che giudicano. Tutto questo lo ha travolto. E io… io non l’ho visto. Non ho capito in tempo.

Ho fatto tanti errori con mio figlio, ma fargli indossare quei pantaloni non è tra questi.

Teresa Manes
Il silenzio fa più rumore di quanto immaginiamo

Col tempo, ho capito che quello che ha ucciso mio figlio non è stato solo il bullismo. È stato il silenzio attorno a lui. Il silenzio degli adulti che non hanno colto i segnali. Il mio, che pur stando vicino a lui ogni giorno, non sono riuscita a vedere dietro il sorriso che indossava per tranquillizzarmi.

Andrea si era costruito una maschera. Una di quelle che i ragazzi imparano a portare troppo presto, per non deludere, per non preoccupare, per non mostrarsi vulnerabili. E dietro quella maschera c’era un dolore profondo, che nessuno aveva saputo – o voluto – ascoltare.

Il mio cammino è iniziato dal fondo

Dopo la sua morte, ho passato giorni a rileggere le sue chat. A cercare tracce. A comprendere. Tra le righe ho scoperto quanto fosse solo. E quanto chi gli stava intorno – coetanei, compagni – non avesse piena consapevolezza del male che gli stava infliggendo. La violenza virtuale è la più sottile. Non si vede, ma lacera. E lascia cicatrici invisibili.

Così ho preso una decisione. Ho scelto di non chiudermi nel dolore, ma di camminarci dentro. Ho scritto un libro, Andrea. Oltre il pantalone rosa. E da allora, da oltre dodici anni, porto la sua storia nelle scuole, nelle comunità, ovunque ci sia bisogno di ricordare che dietro ogni ragazzo c’è un mondo interiore fragile e potente allo stesso tempo.

Le parole sono come dei vasi che cadono dai balconi, se sei veloce li schivi, altrimenti ti colpiscono in pieno.

Teresa Manes
Oggi faccio parte dell’Osservatorio

Sono parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale Bullismo e Disagio Giovanile. È un luogo dove il mio vissuto ha trovato uno scopo concreto: aiutare a costruire percorsi educativi veri, profondi, capaci di ascoltare prima che sia troppo tardi. Porto la mia voce, ma soprattutto porto Andrea. Con me, in ogni aula. In ogni storia. In ogni parola detta per impedire che un altro ragazzo scelga il silenzio come via d’uscita.

Ogni piccolo gesto di coraggio può ispirare altri a fare lo stesso.

Teresa Manes
Nessuno si salva da solo

La scuola può fare molto, ma da sola non basta. La famiglia è fondamentale, ma da sola non basta. Servono alleanze. Serve guardarsi negli occhi. Parlare. E avere il coraggio di rompere quel silenzio che spesso pesa più delle offese. Il bullismo si nutre di invisibilità. Ma quando viene portato alla luce, perde forza.

A chi è vittima, dico: non siete soli. A chi ha ferito, dico: fermatevi, riflettete. Siete ancora in tempo per diventare migliori. E a ogni adulto, chiedo: siate presenza. Non fate finta di non vedere.

Andrea oggi non c’è più. Ma la sua voce continua. Vive in ogni racconto. In ogni giovane che trova il coraggio di parlare. In ogni genitore che inizia ad ascoltare davvero.

Il silenzio non protegge. Il silenzio uccide.